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Un archivio digitale ‘spaziale’ per la Vaticana

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Da Virgilio alla Divina Commedia in formato FITS, il sistema che la Nasa utilizza dagli anni ’60 per registrare dati e immagini delle missioni spaziali, accessibile anche a possibili sistemi di lettura futuri. Un’impresa che durerà dieci anni, costerà più di 50 milioni di euro e permetterà di salvare oltre 80 mila manoscritti.

I preziosi manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana come le immagini riprese nel corso delle missioni della Nasa. Un’analogia che nasce dal sistema di archiviazione utilizzato, il formato FITS (Flexible Images Transport System). Si tratta di un sistema di memorizzazione dei dati messo a punto dalla Nasa negli anni ’60 e tuttora utilizzato, che permette di salvare qualunque tipo di dato, rendendolo leggibile anche negli anni a venire. E’ questa la ragione per la quale la Biblioteca Apostolica Vaticana ha deciso di adottarlo, avviando in fase preliminare il “Test Bed” del progetto di conservazione che terminerà nel mese di giugno, al quale farà seguito un monumentale progetto di archiviazione per il quale si stanno ancora stanziando i fondi  e che nell’arco di 10 anni permetterà di salvare e di rendere fruibili a tutti gli oltre 80.000 manoscritti conservati, per un totale di 40 milioni di pagine. Un’impresa che sarà certificata ISO 27001 e che successivamente avrà l’obiettivo di sottoporre  alla Commissione Internazionale ISO la certifica del formato FITS come standard ISO di conservazione digitale, che verrà messo a disposizione di tutti gli altri archivi e biblioteche che desiderino compiere un lavoro analogo sui propri scritti.

«Avevamo già fatto un tentativo di memorizzazione in formato digitale dei nostri manoscritti negli anni ’90, con l’IBM – racconta Luciano Ammenti, responsabile coordinamento dei Servizi Informatici della Biblioteca Vaticana – e non abbiamo ottenuto i risultati sperati; l’Ibm infatti non è riuscita a capire fino in fondo le nostre esigenze nè in ambito paleografico né di conservazione. E così per parecchi anni abbiamo abbandonato il progetto, anche se l’esigenza rimaneva, ed era quella di trovare un formato abbastanza longevo da sopravvivere alle innovazioni tecnologiche e che operasse in ambito open source, cioè che fosse gratuito. Utilizzare infatti formati come il Tiff,  Pdf o il Jpg 2000 potrebbe raggiungere costi inimmaginabili, anche  solo se ci chiedessero un centesimo a pagina. Abbiamo anche provato a chiedere una liberatoria scritta, in particolare per il formato TIFF, ma non ce l’hanno data: progetti di questa entità non possono essere realizzati utilizzando formati a pagamento».

Il problema di un’archiviazione digitale duratura, che sopravviva alle evoluzioni tecnologiche, è da lungo tempo al centro della riflessione di informatici, esperti di testi antichi, ma anche scrittori di fantascienza e blogger, come testimonia la storia del ‘crononauta’ John Titor, apparsa su alcuni forum su Internet, un personaggio tornato indietro nel tempo per cercare un IMB 5100, un computer portatile inventato a metà degli anni ’70, in grado di sopravvivere a un ipotetico ‘bug’ del 2038.

Gli informatici della Biblioteca  Vaticana si sono organizzati al meglio per rendere a prova di evoluzione tecnologica il futuro archivio digitale che si spera venga realizzato nei prossimi 10 anni: «Il sistema FITS nasce nell’ambito degli ambienti universitari e di ricerca scientifica come il sistema operativo UNIX, che è nato nelle università negli anni 70 e funziona ancora perfettamente. – spiega Ammenti – E’ un formato Open Source, i cui plugin lo rendono  compatibile con Microsoft, Linux e Mac».

«La leggibilità futura – prosegue il responsabile dei Servizi Informatici della Biblioteca Vaticana – ha due aspetti, il software e l’hardware. Per quanto riguarda il primo, nei primi 900 campi ogni file FITS ha una descrizione esaustiva dei dati, che permette di rielaborarli a chiunque in futuro. L’altro problema,  cioè quello delle periferiche di conservazione, cercheremo di risolverlo legando a noi tutte le compagnie che lavorano a questo progetto (e cioè Autonomy, Metis e molte altre) a un programma di update tecnologico triennale, che garantisca e mantenga la leggibilità dei dati dove questo formato viene scritto. Quando avremo finito, per rispettare i parametri di sicurezza avremo due datastorage, uno nella Città del Vaticano e l’altro a Castel Gandolfo. Il contenuto del nostro lavoro dovrà gettare le basi per la costituzione di un formato standard per la conservazione digitale, inserito in una piattaforma scalare il cui applicativo soddisfi  le più ampie esigenze di conservazione».

Il progetto del Vaticano ha durata e costi imponenti, considerato che si tratta di mettere a disposizione di tutti manoscritti come la versione greca della Bibbia (il cosiddetto Codice B); i cosiddetti Virgilio Romano e Virgilio Vaticano, i due manoscritti tardo antichi con le opere di Virgilio, l’Evangeliario di Lorsch, dono di Carlo Margno, il De arte vendandi cum avibus commissionato da Federico II, testi autografi di Petrarca, alcune edizioni della Divina Commedia, tra cui quella ‘urbinate’, commissionata da Federico da Montefeltro, la grande Bibbia, un capolavoro dell’arte della miniatura nel Rinascimento, testi in latino, greco, ebraico, samaritano, aramaico, ma anche arabo, persiano, cinese, indiano, provenzale.

«Se tutto va bene – dice Ammenti – dal momento che solo a giugno, conclusi una serie di test, sapremo se tutti i sistemi che intendiamo utilizzare sono realmente applicabili, nella seconda metà dell’anno partirà la prima fase del progetto, che durerà tre anni e richiede un finanziamento di 25 milioni di euro. Vi lavoreranno a pieno regime 160 persone, su tre turni. Seguirà un’altra fase di tre anni, e un’ultima di quattro. I primi tre anni saranno i più complessi e costosi, perché dovremo approntare gli storage e costruire i data center».

Fonte: ROSARIA AMATO su La Repubblica, 20 aprile 2010.


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